È quanto emerge da una relazione elaborata dalla Marina Fibra presente negli impianti di riscaldamento e sale mense
La Spezia – Sessanta delle 136 navi militari ancora in servizio contenenti amianto, sono dislocate alla Spezia. La fibra è ancora all’interno degli impianti, delle caldaie, o di parti comuni come le sale mense. La città, che vanta il tristissimo primato di vittime per patologie correlate all’esposizione all’amianto, si conferma al centro di un problema gravissimo. Anni e anni di lavorazioni cantieristiche civili e militari, senza alcuna protezione, hanno già portato troppe morti. E ciononostante l’attenzione spezzina al problema appare modesta, fatte salve poche eccezioni.
Le cifre compaiono nella relazione della Marina Militare, pubblicata dal Fatto Quotiano, e sono emerse dopo l’emendamento con cui i 5 Stelle hanno ottenuto di estendere alle navi militari 12 milioni di euro destinati alle bonifiche. E i conti non tornano. Nel 2012, rispondendo ai parlamentari Radicali, la Marina disse che le navi con amianto erano 155, di cui oltre 30 già tutte bonificate, più 70 trattate in parte. Mesi dopo, citò 148 navi, di cui 40 già ripulite e 80 in parte. Ora le navi da trattare sono 136. E questo contrasta con le rassicurazioni rese dai vertici militari durante le udienze dei processi di Padova, che vedono parti lese molti civili e militari spezzini ammalati. I giudici assolvono, la Cassazione riapre i processi. E si va avanti così, con lo Stato che nega di aver saputo che l’amianto fosse pericoloso, prima della messa al bando del 1992, e le vittime che producono documenti come lo studio fatto nel 1969 su 269 dipendenti dell’Arsenale di Taranto, che già rivelava il problema.
Le navi all’amianto appaiono e scompaiono. Proprio come i tetti in eternit in Arsenale. Per anni si è detto che era «tutto a posto». Finché il consigliere civico Massimo Baldino Caratozzolo, dopo un anno di insistenza, ha ottenuto le mappe sui 5 capannoni a rischio, sotto Marola. C’è voluta tanta fatica, nonostante le leggi sul diritto di accesso agli atti. Il capo di gabinetto del sindaco Peracchini, Pietro Antonio Cimino, militare di professione, ha detto di aver dovuto «seguire un iter autorizzativo che ha coinvolto l’ufficio di gabinetto del ministro, che ha autorizzato l’alto comando solo dopo aver assolto agli obblighi di risposta dell’onorevole Manuela Gagliardi».
Non si capisce la ragione di tutte queste attese, di tutti questi giri. Né come mai sia stata data solo la parte di mappa relativa a Marola, e non tutta. Certo è che le schede che accertano amianto risalgono addirittura al 1998, a 21 anni fa, quando il responsabile per la gestione del problema amianto era il rappresentante del Cocer Alessio Anselmi. Sindacato e Stato, dunque, sapevano. Ora arriva la conferma della presenza dello stesso tipo di pericolo, ancora oggi, anche su gran parte del naviglio. E la preoccupazione resta.
La Spezia – Sessanta delle 136 navi militari ancora in servizio contenenti amianto, sono dislocate alla Spezia. La fibra è ancora all’interno degli impianti, delle caldaie, o di parti comuni come le sale mense. La città, che vanta il tristissimo primato di vittime per patologie correlate all’esposizione all’amianto, si conferma al centro di un problema gravissimo. Anni e anni di lavorazioni cantieristiche civili e militari, senza alcuna protezione, hanno già portato troppe morti. E ciononostante l’attenzione spezzina al problema appare modesta, fatte salve poche eccezioni.
Le cifre compaiono nella relazione della Marina Militare, pubblicata dal Fatto Quotiano, e sono emerse dopo l’emendamento con cui i 5 Stelle hanno ottenuto di estendere alle navi militari 12 milioni di euro destinati alle bonifiche. E i conti non tornano. Nel 2012, rispondendo ai parlamentari Radicali, la Marina disse che le navi con amianto erano 155, di cui oltre 30 già tutte bonificate, più 70 trattate in parte. Mesi dopo, citò 148 navi, di cui 40 già ripulite e 80 in parte. Ora le navi da trattare sono 136. E questo contrasta con le rassicurazioni rese dai vertici militari durante le udienze dei processi di Padova, che vedono parti lese molti civili e militari spezzini ammalati. I giudici assolvono, la Cassazione riapre i processi. E si va avanti così, con lo Stato che nega di aver saputo che l’amianto fosse pericoloso, prima della messa al bando del 1992, e le vittime che producono documenti come lo studio fatto nel 1969 su 269 dipendenti dell’Arsenale di Taranto, che già rivelava il problema.
Le navi all’amianto appaiono e scompaiono. Proprio come i tetti in eternit in Arsenale. Per anni si è detto che era «tutto a posto». Finché il consigliere civico Massimo Baldino Caratozzolo, dopo un anno di insistenza, ha ottenuto le mappe sui 5 capannoni a rischio, sotto Marola. C’è voluta tanta fatica, nonostante le leggi sul diritto di accesso agli atti. Il capo di gabinetto del sindaco Peracchini, Pietro Antonio Cimino, militare di professione, ha detto di aver dovuto «seguire un iter autorizzativo che ha coinvolto l’ufficio di gabinetto del ministro, che ha autorizzato l’alto comando solo dopo aver assolto agli obblighi di risposta dell’onorevole Manuela Gagliardi».
Non si capisce la ragione di tutte queste attese, di tutti questi giri. Né come mai sia stata data solo la parte di mappa relativa a Marola, e non tutta. Certo è che le schede che accertano amianto risalgono addirittura al 1998, a 21 anni fa, quando il responsabile per la gestione del problema amianto era il rappresentante del Cocer Alessio Anselmi. Sindacato e Stato, dunque, sapevano. Ora arriva la conferma della presenza dello stesso tipo di pericolo, ancora oggi, anche su gran parte del naviglio. E la preoccupazione resta.