CONVEGNO A PADOVA SU TUMORI POLMONARI E SORVEGLIANZA SANITARIA
01/12/2014SACELIT, UN’ALTRA VITTIMA DELL’AMIANTO
02/12/2014(Cosa fa il comando generale della Guardia di Finanza?)
Il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, nei giorni scorsi,
ha chiesto ed ottenuto il non luogo a procedere per avvenuta prescrizione
dei reati ascritti a carico del miliardario svizzero Stephan Schmidheiny,
unico imputato per disastro ambientale dopo la morte del barone belga Louis
De Cartier.
La Corte, presieduta da Arturo Cortese, ha annullato senza rinvio,
dichiarando prescritto il reato, la sentenza di condanna per il magnate
svizzero nel maxiprocesso Eternit. Con la sentenza, a quanto pare,
sarebbero stati annullati anche i risarcimenti per le vittime, in quanto la
prescrizione sarebbe maturata al termine del giudizio di primo grado.
Nel merito di questo episodio di cronaca che si tinge di macabri colori, e
che sicuramente farà discutere a lungo, potremmo effettuare una
disquisizione socio-politica per dire che, sfogliando i libri di storia,
non abbiamo mai visto condannare e finire in galera un barone o un
plurimiliardario. Ma preferiamo attenerci ai fatti, facendo soprattutto un’analisi
giuridica dell’accaduto, ragionando in astratto e non soffermandoci al caso
specifico.
A nostro parere il reato da ipotizzare subito e non a giochi fatti – in
fattispecie di questo genere – sarebbe stato quello di strage, previsto
dall’articolo 422 del codice penale. Per i non giuristi diciamo subito che
l’articolo 422 del codice penale prevede la pena dell’ergastolo, in quanto
il reato in argomento contempla l’uccisione volontaria di più persone e, come per l’omicidio di una persona, non è soggetto ad alcuna prescrizione.
Nell’ambito della fattispecie amianto è impensabile che i datori di lavoro
di fabbriche dotate di personale ingegneristico e di uffici legali non siano
al corrente dei danni mortali che provoca l’amianto. Stessa cosa dicasi
per i dirigenti della pubblica amministrazione e per gli alti ufficiali
delle Forze Armate e dei Corpi militari o civili dello Stato. Siamo certi di
quanto stiamo affermando poiché, della pericolosità dell’amianto, vi è
traccia proprio in una sentenza del tribunale di Torino risalente al 1906,
ovvero a ben oltre un secolo fa. Questo è quanto si legge nel testo di una
sentenza pronunciata «in nome di sua Maestà Vittorio Emanuele III» al
termine di una causa civile promossa dalla società inglese British asbestos
company limited contro un giornale piemontese, «Il Progresso del Cavanese e
delle Valli Stura», per un articolo che parlava dei problemi di una fabbrica
amiantifera di Nole (Torino). I giudici respinsero le richieste della
società certificando che la lavorazione era dannosa per la
salute. La prima legge delega, che delimitava i pericoli dell’amianto, è,
invece, del 12 febbraio 1955 e portava il nr. 51. Ma, per tagliare la testa
al toro una volta per sempre, la legge nr. 257 del 1992 mette
definitivamente al bando l’amianto, vietandone non solo la produzione ma
anche l’uso e la manipolazione se non a scopo di bonifica, che deve essere
obbligatoriamente ed esclusivamente effettuata da ditte altamente
specializzate e con cautele particolari. Quindi nessuna scusa può essere
avanzata, anche in virtù del principio che la legge non ammette ignoranza.
Se un analfabeta viene trovato in possesso di un’arma atta ad uccidere, lo
stesso viene arrestato e non potrà addurre a sua difesa la non conoscenza
della legge.
Solo alcuni mesi fa, invece, il colonnello in congedo della Guardia di
Finanza, Giuseppe Fortuna, all’epoca dei fatti responsabile di una
associazione parasindacale del Corpo, denunciava pubblicamente la presenza
di personale delle Fiamme Gialle nelle discariche di amianto, inviatovi per
servizio ma senza le tutele previste dalla legge: tute speciali, guanti e
mascherine. In sostanza il personale della Guardia di Finanza operava a mani
nude, e questo era ampiamente dimostrato dalle centinaia di fotografie
pubblicate dai giornali e dalle decine di filmati postati su You Tube da
comuni cittadini o dagli stessi finanzieri. Come mai, allora, non ci
risulta che la magistratura abbia aperto dei fascicoli a carico di chi aveva
una responsabilità oggettiva di comando ed ha consentito delle operazioni che
appaiono – almeno ai nostri occhi – in violazione del combinato disposto
della legge 257/1992 e della legge 626/1994? E’ stata garantita a questi
finanzieri, a questo personale operante, ogni sicurezza nell’ambiente di
lavoro? Alle nostre semplici domande nessuno ha mai dato risposta, la
nostra associazione non ha mai ricevuto delle dovute assicurazioni in
merito.
Analogo comportamento è stato adottato dal Comando Generale del Corpo, e da
alcuni Comandi da esso dipendenti, quando abbiamo chiesto spiegazioni
riguardo alle morti per mesotelioma della pleura e per altre patologie
asbesto correlate verificatesi tra il personale dipendente. Nel solo Friuli
Venezia Giulia ci sono oltre 50 finanzieri, o ex tali, iscritti nel
Registro degli Esposti, unitamente a due loro consorti che, lavando le
divise intrise di fibre di amianto, hanno anche loro ottenuto il riconoscimento dell’avvenuta
esposizione.
Tutto ciò premesso ci chiediamo e chiediamo, sia all’opinione pubblica sia
alla magistratura, perché ai finanzieri esposti – tra i quali anche un
colonnello in congedo – non è stato neppure rilasciato il previsto
curriculum lavorativo, necessario per iniziare l’iter procedurale
riguardante il risarcimento previsto dalla legge 257/1992? E’ come se un
ospedale si rifiutasse di rilasciare la cartella clinica ad un paziente
perché con questa potrebbe ottenere il riconoscimento di una invalidità. Ci
chiediamo: nella fattispecie, la Guardia di Finanza non ha travalicato i
suoi compiti? Ci dicano di no, se le cose non stanno così, ma abbiano
almeno la buona educazione di risponderci, di farci sapere se e quanto sta a
cuore dei vari comandanti la salute dei propri dipendenti o ex tali. Le nostre
richieste non sono strumentali ma del tutto in buona fede, vorremmo che
qualcuno ci dicesse ci dispiace dei ritardi che abbiamo accumulato nell’effettuare
le bonifiche e siamo rammaricati dal fatto che molti di voi soffrono di patologie asbesto correlate. Costa tanto scusarsi? Costa tanto cercare di rimediare? Costa tanto procedere con riconoscimento d’ufficio delle patologie asbesto correlate, nei casi in cui a destreggiarsi nei meandri della burocrazia sono le vedove dei finanzieri deceduti durante, o subito dopo, il periodo di servizio?
Lorenzo Lorusso – presidente dell’Associazione Nazionale Finanzieri Esposti
all’Amianto, Associati al Coordinamento Nazionale Amianto