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Trentadue milioni di tonnellate ancora presenti nel territorio. Quasi 6 mila morti per patologie asbesto correlate nel solo 2017. E una mappatura dei siti che è incompleta e a macchia di leopardo.
Nonostante i numeri sull’amianto in Italia siano da capogiro – 32 milioni le tonnellate ancora presenti nei territori (fonte Cnr) e il bilancio delle morti da bollettino di guerra – nel 2017, solo per mesotelioma, sono decedute più di 1.900 persone mentre tenendo conto di tutte le patologie asbesto correlate, si arriva a 6 mila decessi – la mappatura nazionale della fibra-killer risulta ancora largamente incompleta.
UNA MAPPATURA INCOMPLETA. Lo conferma lo studio riepilogativo condotto dallo Sportello Amianto Nazionale sul censimento commissionato a enti e amministrazioni dalla data della messa al bando, ormai 26 anni fa. La mappatura infatti spetta alle Regioni, ma non tutte hanno provveduto con modalità e tempi simili. «Dopo più di 20 anni dalla legge 257 del 92», spiega a L43 Maura Crudeli, portavoce dell’Aiea Onlus (Associazione Italiana Esposti Amianto) che si prefigge l’abolizione dell’amianto in ogni sua forma, «si può sostenere che la mappatura non superi il 30% del territorio, e dunque è ben lontana dall’essere completa». Fino al 2015, i siti di amianto ufficialmente censiti erano 33.610. Ma «questi numeri», fa notare Crudeli, «sono da prendere con cautela e a nostro avviso sono sottostimati, visto che i dati di alcune Regioni come Calabria, Campania e Sicilia sono incompleti, mentre chi ha fatto uno screening approfondito sul territorio, come le Marche, ne ha “scoperti” 20 mila, molti di più rispetto a quelli ufficialmente censiti».Lo scenario che emerge oltretutto non è omogeneo anche perché le mappature in Italia vengono realizzate con tecniche differenti. Si va dall’autocensimento da parte dei cittadini che segnalano al Comune la presenza della fibra nelle proprietà al telerilevamento con areomobili o droni. Non solo. A volte per uno stesso territorio sono usate più tecniche. «Di fatto», spiega Crudeli, «alcune Regioni hanno effettuato rilievi a macchia di leopardo, hanno confrontato le zone analizzate a tutto il territorio regionale fornendo dati teorici». Il problema è che l’amianto, in particolare quello friabile, è presente all’interno delle strutture e, aggiunge la portavoce Aiea, «non se ne hanno purtroppo stime attendibili».
DISTESE DI ETERNIT. La valutazione nazionale delle coperture in amianto, tanto per dire, è stata valutata (per difetto) in 2.500 km quadrati: «Un numero elevatissimo se si considera che ogni metro quadrato di coperture in cemento amianto libera ogni anno 3 grammi di fibre», fa notare Crudeli. Aggiungendo: «Possono sembrare pochi, ma questo significa che in tutta Italia dai tetti in eternit si liberano nell’aria 7.500 tonnellate di fibre d’amianto l’anno».
GLI EX SITI INDUSTRIALI. La concentrazione più pericolosa, però, resta ancora dove si trovano gli stabilimenti che fino a 20 anni fa lavoravano l’amianto cemento. «Oltre alla Eternit di Casale Monferrato (Alessandria), aperta nei primi del ’900», ricorda Crudeli, «ci sono gli stabilimenti satelliti della multinazionale a Priolo nel Siracusano e a Bagnoli a Napoli, ma anche la Fibronit a Broni nel Pavese e a Bari. E poi ci sono le miniere di estrazione, per esempio a Balangero nel Torinese, e altre aree con presenze industriali come l’ex Liquichimica di Tito, a Potenza, Biancavilla, a Catania e Emarese ad Aosta. Ma anche la Materit a Matera e i siti di Ottana in Sardegna».
Nel 2017, solo per mesotelioma, sono decedute più di 1.900 persone mentre tenendo conto di tutte le patologie asbesto correlate si arriva a 6 mila decessi
La mappatura dovrebbe essere una priorità per le Regioni. Eppure quelle ritardatarie, come il Lazio, devono ancora dotarsi di una legislazione e definire le competenze in materia. «Tanto che se viene segnalato un sito con presenza di amianto», dice Anna Maria Virgili, per anni presidente del Comitato Esposti Amianto Lazio e curatrice del documento Amianto, «la Asl rimanda all’Arpa e questa ancora alla Asl». E aggiunge: «In regione solo la Provincia di Viterbo ha agito autonomamente e ha effettuato una mappatura ma resta insufficiente soprattutto rispetto agli interventi di bonifica. I dati esistenti già rilevati da altri enti potrebbero essere messi a disposizione della Regione la quale avanza ancora motivi di mancanza di fondi».
SICILIA ANNO ZERO. In regioni come la Sicilia, poi, siamo ancora all’anno zero. «Dopo l’approvazione della legge 10 del 2014 che prevedeva addirittura che entro tre anni dovesse essere rimosso e smaltito tutto l’amianto presente sull’Isola», conferma Tommaso Castronovo di Legambiente Sicilia e Coordinatore di Liberi dell’amianto, «non è stato neanche emanato il nuovo il Piano regionale che dovrebbe prevedere come e quanto intervenire per la rimozione e smaltimento del materiale». Sul fronte dell’informazione e della sensibilizzazione, poi, le cose non sembrano andare meglio. «Da una nostro sondaggio», aggiunge Castronovo, «il 50% degli intervistati non sa in quali condizioni l’amianto costituisca un pericolo per la salute. Segno che il problema amianto non è una priorità per il governo regionale. Eppure le morti correlate all’amianto in Sicilia ogni anno sono più di quelle registrate sul lavoro». I dati del registro regionale mesoteliomi parlano chiaro: i decessi diagnosticati dal 1998 al 2016 sono stati 1.484, mentre il numero degli infortuni mortali denunciati dall’inail nello stesso periodo si ferma a 1.426.
AUMENTANO LE DISCARICHE ABUSIVE. Ma se la mappatura dei siti contaminati non è una priorità né per la Regione né per i Comuni, lo stallo non può che perdurare. «Basti pensare che oltre a non avere un piano regionale aggiornato e in vigore», puntualizza Castronovo, «solo 70 Comuni hanno predisposto un piano comunale nel quale dovrebbero essere individuati i siti contaminati, sia in aree residenziali sia in quelle industriali». A mancare non è soltanto un strategia condivisa. «Non ci sono neanche i soldi a disposizione», aggiunge, «non si sono formate le competenze tecniche presso gli uffici regionali e comunali per effettuare una mappatura quanto più puntuale possibile. E intanto sono sempre di più le discariche abusive di lastre di cemento amianto e serbatoi in eternit».
BONIFICHE COL CONTAGOCCE. I dati ufficiali in mano all’ufficio regionale si basano sostanzialmente sulle notifiche pervenute da parte di cittadini, delle aziende autorizzate e dei Comuni per quanto riguarda gli edifici pubblici. A dicembre 2016 (ultima data di rilevamento) le bonifiche sono state solo 11.166 «a causa della lentezza con cui procede il censimento e le continue proroghe legate alla mancata approvazione del Piano regionale», continua Castronovo. Un paradosso, se si pensa che le stime relative alla presenza di amianto in Sicilia parlano di 55 milioni di metri quadri, pari a circa 1 milione di tonnellate.
DISCARICHE E SPESE. «Purtroppo», conclude l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, «il problema amianto non è stato affrontato come si sarebbe dovuto cioè con le bonifiche, che porterebbe a fermare l’epidemia salvando migliaia di vite, senza contare il risparmio della spesa sanitaria e previdenziale». Nel frattempo, l’amianto viene smaltito in discariche estere, con un enorme aumento dei costi. «Sarebbe fondamentale realizzare nuove discariche in Italia», dice Bonanni, «in modo tale da avere dei luoghi dove poter momentaneamente stoccare i materiali in eternit».
Elena Paparelli
http://www.lettera43.it/it/articoli/cronaca/2018/04/15/amianto-asbesto-mappatura-mesotelioma/219312/