ETERNIT BIS: PRESIDIO E CONVEGNO TORINO
27/10/2016AMIANTO TESTO UNICO ASSEMBLEA SENATO
15/11/2016I VAJONT A STOCCOLMA
Sono appena tornata dalla Svezia dove ho partecipato al festival STORIES OF THE ANTHROPOCENE dal sottotitolo sabotage & Survive. A guerrilla narrative project.
Il festival che si è svolto dal 26 al 29 ottobre, è stato organizzato dal KTH (Royal Institute of Technology) in collaborazione con il Nelson Institute, il Rachet Carson Center, il Rachel Carson Centrer, il Marie Curie Actions, Institute Center for Culture History, l’Istituto Italiano di Cultura, e Environment at the University of Wisconsin, Madison.
Anima del convegno Marco Armiero, storico dell’ambiente,direttore dell’Environmental Humanities Lab del Royal Institute of Technology a Stoccolma a cui rivolgo i miei sinceri ringraziamenti, nella promessa che questo festival per me sarà solo l’inizio di una stretta collaborazione con tutte le innumerevoli storie raccontate durante il convegno. Storie da tutto il mondo, dagli Stati Uniti, alla Liberia, dai nordici territori dei Sami (da noi conosciuti come Lapponi), dall’India e dall’UK. Quante voci diverse sono arrivate a Stoccolma!
Si è discusso, si sono scoperte realtà di violenza sui territori e sulle comunità e le proposte di lotta e di reazione.
I VAJONT è stato proposto all’interno di uno spazio molto suggestivo, un bunker a 25 metri sotto terra dove un tempo era collocato un reattore nucleare, poi trasformato in un teatro e spazio espositivo a disposizione degli studenti e della comunità.
I VAJONT è stato presentato da Gregg Mitman, professor di Storia della Scienza, della Medicina, e di Studi ambientali dell’ University of Wisconsin-Madison. E’ anche vincitore di numerosi premi letterari, regista sempre interessato a raccontare le storie di violenze sull’ambiente sia negli Stati Uniti che nel mondo e la conseguente difficile ricerca di giustizia. Insomma un protagonista di grande rilievo internazionale.
I VAJONT le cui storie erano sconosciute da tutti i partecipanti alla serata (ovviamente con l’esclusione degli ospiti italiani) ha avuto un notevole successo e molti mi hanno chiesto come possano fare ad avere il video per proiettarlo nelle loro scuole e associazioni. Una bella soddisfazione davvero.
Ma a parte l’interesse per I VAJONT e per le innumerevoli altre storie ascoltate e partecipate, il festival di Stoccolma è stata anche un’irripetibile occasione per innumerevoli discussioni e riflessioni.
Una di quelle che io ho proposto:
1) la necessità di creare legami profondi tra chi condivide le stesse lotte, anche se diverse geograficamente e culturalmente, però cercando in primo luogo linguaggi in grado di coinvolgere i “cittadini dormienti”, quelli che non sanno, no si preoccupano, pensano che non sia affare loro contribuire alla lotta per la giustizia e per la sua stessa sicurezza. Bisogna andare da loro per coinvolgerli e non aspettare che siano loro a venire a cercarci, perché questo non succede e così si finisce di parlare tra chi già sa e chi la pensa allo stesso modo. Ma sicurezza delle persone, tutela dell’ambiente e di chi lo abita e lo occupa (esseri umani, ma anche animali e piante e rocce e montagne e fiumi), la giustizia per le violenze subite sono una lotta per la riguarda noi tutti e che non possiamo lasciare alle vittime, già provate dal dolore e dalle perdite. La lotta per la giustizia riguarda tutti noi che, per ora, non abbiamo perso nulla.
2) nel festival si è parlato esclusivamente in inglese. L’inglese è la lingua con la quale si comunica a livello internazionale. Ed è una fortuna che vi sia questa lingua che unisce e ci permette di capirci senza bisogno di interposte persone.
Ma è anche vero che rappresenta il dominio dei paesi anglofoni sulle altre lingue e culture. Difficile se non impossibile esprimere sfumature linguistiche che hanno un bagaglio di storia, tradizione e cultura alle spalle. Nel corso del convegno abbiamo sottolineato come uno stessa parola, per esempio “speranza-hope” abbia dei rimandi culturali completamente diversi a seconda l’esprima un italiano o un americano.
Inoltre noi italiani non sappiamo parlare l’inglese, a differenza per esempio degli svedesi che sanno esprimersi in questa lingua quasi come fosse la loro lingua madre. In Svezia chiunque sa parlare inglese, spesso con un accento perfetto. Vi è quindi l’impellente necessità di noi italiani in particolare di appropriarsi di questa lingua anche, come suggeriva Marco Armiero, trasformandola e arricchendola con nostre espressioni e profondità linguistiche.
3) Ma forse la riflessione che a me sta più a cuore riguarda proprio la democrazia. In ognuna di queste storie raccontate vi è in fin dei conti l’incapacità della democrazia così come si esprime oggi nei governi di essere giusta, di rappresentare gli interessi della comunità anziché quella delle élite, sia politica che economica, sia dei media che della legge. A mio giudizio è arrivato il tempo che SI RIPENSI ALLA DEMOCRAZIA, si cerchino nuove forme per dare voce alla gente, agli ultimi, alle comunità, agli interessi anche dell’ambiente che va difeso dagli interessi dell’economia.
Vi è la necessità di risvegliare la gente alla rabbia, ma non la rabbia dell’odio che dà fuoco a paure create ad hoc per indirizzare il cambiamento dove in realtà i poteri forti vogliono per depistare da un crescente malessere della gente. Ma la rabbia positiva che si muove per rimuovere le ingiustizie, per recuperare il rispetto e la dignità di ogni essere umano (e anche vivente). Una rabbia che diventi progresso sociale, che produca un benessere diffuso.
Sul convegno potrei dire ancora tante altre cose, ma ho bisogno di un po’ di tempo per metabolizzare tutte le suggestioni raccolte.
Intanto ricordo: I TEMPI SONO MATURI
Stiamo arrivando. Preparatevi!
LUCIA VASTANO, giornalista e co-regista del film I Vajont insieme a Maura Crudeli