PIANO NAZIONALE AMIANTO
04/03/2013MONFALCONE PROCESSO AMIANTO
12/03/2013«Il documento mi era sfuggito nel processo di primo grado. È molto importante. Lo ritengo in grado di dare molta più forza alla consapevolezza del dolo da parte dei vertici Eternit». Gianfranco Colace è stato uno dei pm che hanno sostenuto l’accusa in tribunale contro la multinazionale dei prodotti in amianto e, applicato insieme con i colleghi in appello, ha dato conto nella sua requisitoria di un report contenente una notizia assai significativa: «La Suva, che in Svizzera riunisce i poteri di accertamento dei nostri ispettorati del lavoro e le funzioni assicurative dell’Inail, ha riconosciuto il mesotelioma come malattia professionale da indennizzare sin dal 1969». In Italia il cancro tipico dell’inalazione di fibre d’amianto ha avuto altrettanto riconoscimento nel 1994. In precedenza si indennizzava solo se associato all’asbestosi. Fu una sentenza della Corte Costituzionale del 1988 ad orientare la nuova normativa. E ci vollero ancora sei anni per averla.
L’Eternit è stata una multinazionale dell’amianto svizzero-belga e i due imputati al processo torinese d’appello, condannati in primo grado entrambi a 16 anni di carcere per disastro doloso, sono lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis de Cartier. È naturale che si guardi con attenzione alla Svizzera. «Nello stabilimento di Niederurnen , cantone di Glarona – aggiunge Colace – fu abbandonata la produzione con amianto nel 1978. La decisione fu di Schmidheiny. In Italia si continuò ad utilizzare persino la crocidolite, l’amianto blu, quello più micidiale, sino alla chiusura per fallimento dei 5 stabilimenti, nel 1986. Abbiamo la prova per quello di Casale Monferrato. Uno studio effettuato sull’inquinamento ambientale della città piemontese nel 1991, a cinque anni di distanza dalla cessazione della produzione, indicava ancora una percentuale del 23 per cento di amianto blu dispersa nell’aria. Più pericoloso e più persistente».
Colace ha affrontato più argomenti d’accusa in relazione al disastro ambientale e alle sue 2800 vittime, fra decessi e malati fra gli ex lavoratori Eternit e residenti nelle città delle fabbriche della multinazionale. Tutti dal forte impatto. Ma indubbiamente quello della differenza di attenzione verso «gli italiani», grazie anche alla nostra arretratezza normativa che Schmidheiny ha colto in un ricorso in Svizzera come un ampio alibi, ha trovato particolare interesse nella requisitoria del pg: «Fra il 1973 e il 1986 – ha detto in aula mostrando un documento di tre paginette – la sola informazione ai lavoratori italiani sono stati questi pochi fogli. In cui si rassicurava che l’amianto non rappresentava grossi problemi e si chiedeva la loro collaborazione nel portare le mascherine e contenere il fumo di sigaretta. Quest’ultimo era il vero problema per l’Eternit . Parlando d’altro si evitava di informare i lavoratori italiani degli stabilimenti di Casale Monferrato, Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia), Bagnoli (Napoli) e Siracusa (che non è oggetto del processo) di ciò che nello stesso periodo si comunicava ai loro colleghi svizzeri».
Colace precisa: « Il 18 giugno 1976 si dà ai lavoratori svizzeri dell’Eternit un’informazione sulle caratteristiche delle polveri di amianto, sulle relative sorgenti nei processi di produzione, sulle malattie professionali correlate, a cominciare dal cancro della pleura e del peritoneo per finire al mesotelioma. Perché in Italia l’anno successivo venne data tutt’altra informazione ai dipendenti?».
Quante vite umane avrebbe risparmiato una informazione chiara e non mutilata da falsità e distorsioni? «A Casale Monferrato – è stata la conclusione di Colace – si è spacciata per investimento nella sicurezza l’installazione del Mulino Hazemag, che fu una vera bomba atomica delle fibre d’amianto, un impianto che ha causato dal 1976 uno degli inquinamenti più gravi. Altro che tutela della salute, vi si ricorse perché ci si era resi conto che gli scarti di lavorazione avrebbero potuto essere frantumati, macinati e riutilizzati in una logica puramente di profitto».
«Cercare l’amianto nel sottosuolo di Bagnoli»
I pm torinesi, nell’apprendere del devastante incendio di Bagnoli in un’area attigua all’ex stabilimento napoletano dell’Eternit, hanno espresso l’auspicio che si colga l’occasione della ricostruzione per cercare nel sottosuolo le prove della presenza di amianto. La sentenza di primo grado del processo torinese ai vertici Eternit ha ritenuto prescritto il disastro doloso dell’amianto a Bagnoli al momento della chiusura della fabbrica nel 1986. «Ma continuano a morire anche nel Napoletano per l’amianto così come a Casale Monferrato» ha ricordato in aula il pg Colace citando la testimonianza al processo di primo grado dell’allora sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino.
ALBERTO GAINO
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