Respinta “al mittente”, è il caso di dirlo, la sentenza di assoluzione degli Ammiragli della Marina Militare, 6 in origine, accusati della morte per mesotelioma pleurico di Giuseppe Calabrò e Giovanni Baglivo deceduti nel 2002 e nel 2005. Gravissime le accuse: mancata prevenzione e protezione per i due lavoratori, che hanno respirato amianto, sulle navi militari e negli arsenali a terra, nel corso della loro attività lavorativa, nell’arco di 36 anni il primo e 22 il secondo.E’ quanto stabilito, in sintesi, dalla III Sezione Penale della Corte di Cassazione, che ha annullato la sentenza assolutoria, emessa il 16 marzo 2017 dalla Corte d’Appello di Venezia, che, condannava, tra l’altro, le parti civili, Medicina Democratica e AIEA, al pagamento delle spese processuali. “Un fatto mai accaduto prima: questa è una sentenza che può davvero essere definita storica – hanno affermato Fulvio Aurora, responsabile vertenze giudiziarie di Medicina Democratica e Maura Crudeli, presidente nazionale di AIEA – che ci conforta nella lunga ed instancabile battaglia da tempo intrapresa, su molti fronti e da un capo all’altro della penisola, per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori, vittime di gravi patologie causate dall’amianto”.
” E’ una grande vittoria nel solco dell’affermazione della democrazia, della giustizia e del diritto per le vittime da e sul lavoro “, ha sottolineato l’avv. Laura Mara – che conferma la correttezza della impostazione da noi in questa difficile e complessa vertenza giudiziaria, e che continueremo a perseguire, negli ulteriori passaggi che si aprono con il rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, per un nuovo giudizio in una Sezione diversa da quella precedente”.
Questa vicenda processuale, iniziata al Tribunale di Padova nel 2009, e che vede estinto il reato per uno dei sei imputati, nel frattempo deceduto, (Elvio Melorio) presenta aspetti sconcertanti, quasi sul filo della illegittimità. La Corte d’Appello di Venezia dovrà infatti esaminare gli atti processuali per la terza volta, con una sezione diversa dalle precedenti: con la prima sentenza, nel 2014, infatti la Corte veneziana aveva confermato la sentenza assolutoria, emessa dal Tribunale di Padova nel 2012, con la formula “perchè il fatto non sussiste” ed escluso le aggravanti del capoverso dell’art. 589 c.p. e, 2° comma, con la conseguente dichiarazione di intervenuta prescrizione dei reati. Una sentenza assurda e gravissima contro cui aveva fatto ricorso in Cassazione lo stesso Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Venezia: violazione di legge e omessa applicazione dell’art. 589, comma 2° c.p., illogicità della motivazione per estinzione del reato per prescrizione, queste le ragioni del primo ricorso in Cassazione.
La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del Procuratore Generale, annullava la sentenza della Corte d’Appello di Venezia nel 2016, decidendo in maniera vincolante su alcune questioni di diritto cui avrebbe dovuto attenersi la corte veneziana con il disposto rinvio. Ma, con la sentenza del 16 marzo 2017, di fatto la Corte d’Appello di Venezia non si è attenuta alle indicazioni dettate dalla Corte Suprema di Cassazione, mandando assolti gli imputati! Un inaccettabile paradosso.
Contro questa sentenza, che pare essere un’autentica “beffa”, ecco il secondo ricorso in Cassazione, effettuato dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Venezia, ed anche dalle parti civili Medicina Democratica ed Aiea, con il patrocinio dell’avv. Laura Mara.